Nella vita vi sono momenti in cui ci si sente perduti, attimi più o meno lunghi durante i quali l'orizzonte da sempre veduto appare sfocato: ecco che un evento cui non si era preparati finisce col travolgere l’animo, cagionandone uno smarrimento al quale segue l’inevitabile tentativo di riconquista delle certezze sino ad allora possedute.
Il tempo, cavaliere, accorre in soccorso: la crisi è alle spalle, i tormenti cessati, e l'orizzonte – benché mutato - nuovamente nitido.
Eppure in quegli attimi di insicurezza e paura lo sconforto è apparso dolorosamente concreto, tanto da convincere di essere soli, in una lotta alla ricerca della giustizia. Una sensazione antica e condivisa. Che cosa fare? è il pensiero che impera sulla mente. Il filosofo romano Severino Boezio dedicò un’intera opera alle umane tematiche – dalla felicità alla giustizia, dall’amicizia al male, dalla fortuna alla libertà – attraverso un immaginifico dialogo, accompagnando il lettore attraverso riflessioni (la cui semplicità e logicità quasi disorientano) che fungono da balsamo per spiriti sconsolati.

Formato all’Accademia di Atene, il filosofo romano dedicò la vita allo studio, alle traduzioni e ai commenti dei classici antichi (su tutti gli scritti aristotelici Sull’interpretazione, le Categorie e gli Analitici Primi e Secondi) – pur senza tralasciare la carriera nel milieu politico sotto Teodorico il Grande: un cursus honorum di grandi successi che tuttavia tramontarono d’emblée, con la caduta in disgrazia causata dai sospetti (poi commutati in accusa di alto tradimento) da parte del regnante goto. Incarcerato quindi a Pavia nel 524, Boezio fu dapprima condannato a morte senza possibilità di processo e nell’estate dell’anno seguente giustiziato. Sarà proprio durante la sua lunga e incresciosa detenzione che il filosofo scriverà i cinque libri poi titolati Consolatio Philosophiae "(De consolatione philosophiae").
Meravigliose metriche alternano prose in cui il filosofo illustra il motivo del suo straziante dolore, l’ingiusta incarcerazione per la quale accusa tanto gli uomini che ne hanno decretato una pena immotivata, quanto alla Fortuna che a suo dire gli ha volto le spalle, abbandonandolo ad un crudele destino. Nel carcere però giunge la Filosofia, con sembianze femminili (“una donna di aspetto venerando, dagli occhi sfolgoranti e penetranti oltre la comune capacità degli uomini”, pag. 71 Libro I), che intrattiene con il prigioniero una lunga conversazione introspettiva: dopo aver ascoltato attentamente i lamenti strazianti di Boezio, ella lo esorta a non disperare dacché giunta a lui per recargli conforto. Ad ogni titubanza di spirito, ad ogni lagnanza di cuore dell’uomo, la Filosofia risponde con dolcezza quasi materna, avviandolo su di un tracciato di riflessione e saggezza.
“Conosco ormai un’altra e forse la più grave causa del tuo male; hai cessato di sapere che cosa tu stesso sia. Perciò ho scoperto compiutamente sia la ragione della tua infermità sia la strada per rimetterti in salute. Infatti proprio per il tuo stato di confusione e di oblio di te stesso hai potuto rammaricarti di essere esule e spogliato dei tuoi beni. Dal momento poi che ignori qual sia il fine delle cose, giudichi potenti e fortunate le persone malvagie e scellerate; inoltre, poiché hai dimenticato con quali strumenti di governo il mondo sia retto, ritieni che questo vario avvicendarsi delle cose scorra senza una guida: son cause, queste, più che capaci di provocare non solo una malattia, ma anche la morte”
Pag. 113, Libro I
Nelle sue molteplici parole illuminanti, ella fa notare all’uomo come la Fortuna sia transeunte e che i suoi doni (lo “scintillio di gemme che affascinano gli occhi”) o non hanno valore alcuno oppure non possono essere realmente possedibili (come, dirà, non lo possono essere né la bellezza delle stelle, del cielo, della luna e del sole né l’eleganza di un abito ben confezionato – le cui lodi vanno rivolte a colui che lo ha tessuto e non a chi lo indossa).
Riflessioni sottili ma al contempo semplici, le considerazioni portate dalla Sapienza spiazzano il lettore per la loro logica linearità, inconfutabili prove di ciò che viene sostenuto con parole inaspettatamente prêt-à-porter, capaci di diradare le nebbie delle passioni che confondono la retta visione delle cose, “[…] così, rimosse le tenebre di affetti fallaci, potrai riconoscere lo splendore della vera luce” (pag. 113, Libro I).
Da cupe nubi
le stelle avvolte
nessun lume
possono effondere.
[…]
Anche tu, se vuoi
con chiaro sguardo
vedere il vero,
e per retta via
indirizzare il tuo cammino:
scaccia i pensieri,
scaccia il timore,
bandisci anche la speranza
e non ci sia posto per il dolore.
Nebulosa è la mente
e inceppata da freni,
dove regnano queste passioni.
(Finale Libro I)

Un invito alla civiltà e al rispetto reciproco per un vivere sereno e felice, un accompagnamento alla ponderazione sulle proprie azioni, un’esortazione all’umiltà unitamente al rifiuto della gloria e dei beni effimeri: la Consolatio Philosophiae è un grande e motivato consiglio per una vita vera – anche se spesso avversa e difficoltosa – ma che contrariamente ad un’esistenza falsa vissuta di apparente e instabile felicità, consente di essere liberi dai “beni menzogneri” come le false amicizie che, quando la fama ci abbandona, svaniscono con essa – lasciandoci ciononostante gli amici reali i quali, per converso, “costituiscono il tipo più prezioso di ricchezza”(pag. 173).
“Perché dunque, o mortali, cercate all’esterno la felicità che è posta dentro di voi? Vi lasciate irretire dall’errore e dall’ignoranza.[…] Se la felicità è il bene supremo […] risulta evidente che la fortuna, per la sua instabilità, non può aspirare alla realizzazione della felicità”.
Pag. 141, Libro II
Il possesso del denaro, poi, contrariamente a quanto si è soliti considerare, non rende indipendenti ma anzi “bisognosi della protezione altrui” (pag. 193, Libro III), giacché “ogni giorno c’è qualcuno, più forte, che riesce a toglierlo a un altro contro la sua volontà “. Ecco che, glossa la Filosofia, forse non esiste affatto un modo per eliminare il bisogno (“l’affanno pungente”, come lo etichetta il romano) mediante le ricchezze, le quali velleitariamente “possono far dimenticare il bisogno, ma non possono sopprimerlo”.
Non solo: Boezio, attraverso la bocca della Saggezza, riflette sull’inconsistenza dei titoli e degli onori in quanto non elementi di miglioramento dell'individuo a cui essi sono attribuiti, e si scaglia contro un successo incapace di autoconservarsi nei tempi e contro un potere “che non è in grado di scacciare le spine degli affanni e di evitare i tormenti della paura” (pag. 205, Libro III). Allo stesso modo, i titoli nobiliari risultano privi di caratura dacché altro non sono se non un “prestigio derivante dai meriti degli avi” (pag. 210 – 211, Libro III).
Chiunque con caparbia determinazione ricerca
la sola gloria
giudicandola il bene supremo,
osservi le immense regioni del cielo
e poi l’angusta dimensione della terra:
proverà vergogna della sua tronfia rinomanza,
incapace di riempire uno spazio pur così modesto.
(pag. 169, Libro II)
Con la sua Consolatio Philosophiae, Severino Boezio ha consegnato ai posteri un prezioso medicamento per i dolori dello spirito, una stampella di parole che ricorda di vivere nella semplicità, prediligendo la giusta misura con la consapevolezza della caducità del mondo.
“Oh, felice genere umano, se i vostri animi fossero governati da quell’amore che governa il cielo!”
Finale Libro II
Immagini
In copertina: Trost in Leid di Paul Hermann Wagner, olio su tela, web
Dittico di Claudiano (Dittico del poeta e della musa), dittico eburneo (VI secolo), Museo e Tesoro del Duomo di Monza: web
Consolation di Auguste Toulmouche, olio su tela (1870), collezione privata: web
Consultazioni
La consolazione della filosofia (“Consolatio Philosophiae”) di Severino Boezio, Classici della BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, 2018