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Il riflesso dei difetti e l'apologia dei rivali

“Sii diverso dai malvagi! Puoi farlo.”

Tratto da Oreste di Euripide, v. 251


 

L'abitudine e l'esperienza di chi ci ha preceduti – o di chi, più semplicemente, vive da più tempo di noi – porta a credere che è possibile imparare a stare al mondo prendendo come riferimento solo chi ci ama, chi ci è amico: dunque per migliorarsi occorre guardare a chi è più bravo, più buono, più saggio, più maturo tra i nostri cari e, talvolta, anche a chi paghiamo per darci una formazione, un'educazione, una cultura. Insomma, volgendo il nostro sguardo a coloro i quali ci guidano perché vogliono il nostro bene, e alle cui parole noi ci affidiamo giacché essi, spontaneamente o su invito, ci amano.

Ciononostante è un dato di fatto che a cristallizzare le nostre virtù non siano tanto i passi fatti senza mai cadere, bensì gli scivoloni e gli inciampi: le imperfezioni e gli errori del tracciato.

È grazie chi ci avversa che si può davvero crescere a tutto tondo, poiché essi ci obbligano a guardare con occhi ben aperti la nostra immagine nello specchio di una realtà senza veli che ci restituisce i nostri difetti, i nostri vizi, senza edulcorazioni né indoramenti, illuminando i nostri limiti e costringendoci al confronto con le nostre mancanze.

L’illustre Plutarco di Cheronea volle mettere per iscritto quest’evidenza in un brevissimo trattato filosofico, ove raccolse – con squisita semplicità dialettica – le sue idee, suffragando la tesi secondo cui i nemici sono i veri fautori dei nostri più meritevoli pregi giacché essi “maltrattandoci, ci offrono la possibilità di scrutare in noi stessi […] per essere migliori”.


Busto di Plutarco

Oriundo della Beozia ove nacque poco prima del 50 d. C., Plutarco fu un eccelso letterato, biografo e filosofo, autore di opere morali e storiche. Si recò ad Atene durante il soggiorno greco del controverso imperatore Nerone, e studiò con Ammonio Sacca che lo iniziò alle dottrine platoniche per cui nutrì sempre un profondo amore. Numerosi i viaggi che compì durante la sua vita, in occasione dei quali poté visitare, tra le altre, le città di Sparta, Alessandria e Roma.

Conquistò la fama gradualmente ma con merito, raggiungendo il massimo successo durante gli imperi di Traiano e Adriano che non mancarono di apprezzare il suo operato tanto da conferirgli cariche pubbliche prestigiose tra cui quella sacerdotale a Delfi (ove fu eretto un monumento in suo onore dagli abitanti e per deliberazione del consiglio dell’Anfizionia) e, presumibilmente, di consigliere del proconsole di Acaia.

Sebbene nei suoi lavori non faccia menzione alcuna di tali incarichi e oneri, Plutarco non lesinò in riferimenti alle illustri personalità che poteva contare nel novero delle sue amicizie romane: dal console Sosio Senecione al proconsole di Asia Minucio Fondano, financo allo stoico Aruleno Rustico poi ucciso da Domiziano.

Personalità con i piedi per terra, Plutarco ebbe una carriera splendente che tuttavia non gli fece dimenticare origini e tradizioni, né perdere umiltà, complici una costante dedizione alla riflessione filosofica e gli approfonditi studi volti alla sua produzione letteraria. Il florilegio plutarcheo è vasto e variopinto, con trattati originali che, ad onta della parentesi di oblio durante il Medioevo cristiano, tornarono nel Trecento e in epoca umanistica ad essere oggetto di vivo interesse e studio grazie alle traduzioni in volgare e in latino, con assunti che ancora oggi stimolano il pensiero di massimi esperti e critici, così come di semplici curiosi.

 

“Senofonte sostiene che le persone assennate possono trarre giovamento da quanti sono in disaccordo con loro: lungi dal dubitarne, bisogna anzi escogitare un sistema e un’arte che permettano a chi non riesce a vivere senza nemici di ottenere questo grande vantaggio.”

Pag. 25

 


“Sull’utilità dei nemici”, dedicata all’amico Cornelio Pulcro (tribuno della IV Legione che ricoprì numerose cariche pubbliche tra cui quella di procuratore imperiale dell’Acaia), è una pragmatica gestione di quelle organiche invidie e ostili insofferenze che nascono dai rapporti con chi ci è avverso. Il pamphlet, leggero e scorrevole, è arricchito da calzanti exempla storici che ne corroborano le tesi, e si presenta con una prosa elegante ma mai pedante, tra le cui righe non va obliato il tèlos ultimo di arricchimento e crescita del lettore.

Avere nemici è perciò per il filosofo platonico un autentico e prezioso beneficio per indurre ad una riflessione interiore volta a migliorare l’uomo, smussandone i vistosi difetti attraverso una conoscenza approfondita della persona stessa, costretta al confronto con i propri limiti. Un atto costruttivo dall’apparenza distruttiva, un pungolo per lo sviluppo della temuta ma benigna autocritica.

L'esistenza di inimicizie è tanto fisiologica quanto utile (se non necessaria), dacché consente di vagliare – nelle parole del nemico – ciò che si può trarre per il proprio giovamento: il buono della e nella malvagità.

 

“[…] Considera adesso il tuo nemico e valuta se, pur dannoso sotto ogni aspetto e intrattabile, egli non possa, a qualche titolo, presentare una peculiare utilità, risultando in tal modo prezioso.”

Pag. 25, 26


 

Con Plutarco il nemico appare una risorsa straordinaria, che incoraggia ad un’onesta introspezione per mezzo della quale si possono affrontare limiti ed errori altrimenti celati dal velo di una pretesa quanto pretenziosa considerazione immacolata di noi stessi, il cui riflesso per converso è illuminato da abbaglianti difetti, vizi e lacune. Il duello con chi ci avversa è invero un confronto con noi stessi, un’opportunità di manifestare la volontà di accettare le critiche, mettendoci coraggiosamente in discussione e analizzando con lucidità la nostra vita. Secondo le grammatiche dell’autore greco, un esercizio di autodisciplina e un invito alla morigerazione: una virtù da conquistare con la fatica dell’abitudine.

 

“[avere nemici è utile, n.d.r.] perché insegna a vivere prudentemente, a prestare attenzione a se stessi, a non agire e a non esprimersi in modo negligente e impolverato, a preoccuparsi di condurre la propria vita in modo irreprensibile, come soggetta a un ferreo regime. Un tal modo di comportarsi […] stimola infatti la scelta e l’esercizio di una vita decorosa e integerrima.”

Pag. 28

 


Narciso

Occorre dunque penetrare i recessi dell’anima, esaminandone i punti deboli così che i nostri stessi vizi non ci conducano ad errare e a privarci di benevolenza e correttezza. Il biasimo e le ingiurie del nemico fungono da monito perpetuo che ci instilla la motivazione per ponderare sul nostro operato, permettendoci in tal guisa di mettere ordine nelle nostre esistenze mostrandoci giusti nelle relazioni, onorevoli nelle parole, puri nelle azioni.

La saggezza plutarchea esorta a mantenere il controllo, ad essere sinceri con noi stessi e con gli altri comportandoci con umanità e giustizia anche – e soprattutto – con coloro i quali ci avversano, ricordando di tenerci ben lontani dalle colpe che in preda alla rabbia, alla vergogna e al bisogno di difenderci, siamo tentati di rinfacciar loro. A tal proposito il saggio greco ricorda come i comportamenti infami, l’ira e lo scherno di nemici e di estranei “costituiscono una palestra assai migliore, e abituano l’animo a restare tranquillo e a non sdegnarsi di fronte agli insulti.”

“[…] se il nemico parla male di noi, e le sue accuse sono fondate, dobbiamo liberarci di esse con solerzia maggiore che se ci fosse mostrata una macchia sul nostro mantello. Se invece ci sono rivolte accuse prive di fondamento, bisogna cercare l’origine della calunnia e stare attenti a non commettere, anche inconsapevolmente, colpe simili o identiche a quelle che ci sono attribuite”; pertanto, continua Plutarco, “la mitezza, la pazienza, e inoltre la semplicità della magnanimità e la bontà di carattere sono le qualità che possiamo mostrare ai nemici, piuttosto che agli amici. […] Non bisogna dunque risparmiare la lode e la stima nei confronti di un nemico che ha saputo guadagnarsi una reputazione onorevole. […] chi si è abituato a lodare il nemico, a non rodersi e a non soffrire per la sua buona sorte è lontanissimo dall’invidiare”.


Prima di controbattere a tono, è bene non indulgere alla sfrontatezza, alla mendacia o alla calunnia e procedere unicamente se si ha la certezza d’esser irreprensibile e inattaccabile. Nell’ascoltare le parole dell’avversario, dalla cui bocca spesso escono moti di verità, si badi al fatto e non all’intenzione di ciò che ci viene imputato e se bisogna giocoforza disputare con essi, è bene farlo “senza roderci il fegato se ottengono risultati migliori dei nostri, sforzandosi invece di comprendere fino in fondo le ragioni per le quali li hanno ottenuti, e cercando di superarli nell’impegno, nella diligenza, nell’autocontrollo e nell’autocritica” – evitando così di cedere all’invidia e allo scoramento, finendo a convivere con un rancore neghittoso e sterile. Al contrario, chi non si lascia accecare dall’oggetto del proprio odio ma ne osserva con obiettività la vita, i costumi e le parole riuscirà a tenere lontane pigrizia e indolenza.

 

The quarrel (Disputed territory)

Quello di Plutarco nel suo “De capienda ex inimicis utilitate” è senza ombra di dubbio, come illustrato anche dal curatore Nicola Monentz nell’introduzione all’opera, “un messaggio che resta valido ben oltre i limiti cronologici della vita del suo autore, e che appare oggi indispensabile, perché oppone al frastuono dei dibattiti televisivi, alla dialettica delle tribune politiche – fondata spesso sull’urlo –,  alla continua necessità di vociferare e inveire […] la necessità di pensare.”

 

“[…] che cosa ci impedisce di assumere come maestro – e senza pagarlo – il nostro nemico e di trarne giovamento, apprendendo qualcosa che prima ci sfuggiva? Il nemico coglie molti più difetti dell’amico […]”.

Pag. 38

 

 


 



Immagini

In copertina: To the Death di John Pettie, olio su tela (1877), Sheffield Museums: Art Uk

Busto di Plutarco (“Procurator Augusti”), Museo archeologico di Delfi: web

Narciso di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, olio su tela (1597-1599), Galleria Nazionale d’Arte Antica presso Palazzo Barberini: Gallerie Nazionali Barberini Corsini

Il litigio (“The Quarrel” o “Disputed territory”) di John George Brown, (1866) olio su tela: web

 

 

Consultazioni

Sull’utilità dei nemici (“De capienda ex inimicis utilitate”) di Plutarco, Le mongolfiere, Archinto, 2011

 

 

 

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