Sovente la fine – di una relazione, di un evento, di un progetto – coincide con un inizio.
Correva l'anno 44 a. C. quando una delle figure più importanti della storia – il dittatore romano Caio Giulio Cesare – si spense, brutalmente assassinato per mano di un gruppo di senatori. Tra i testimoni dell'orribile uccisione vi era l'oratore arpinate Marco Tullio Cicerone che in quello stesso anno si dedicava alla stesura di una dissertazione sulla senilità, parte auspicabilmente ultima della vita di ogni essere umano.
La fine di una vita, quella del fu Divo, andò dunque a sovrapporsi alla nascita della mirabile opera letteraria De Senectute, la quale – ironia della sorte – intese trattare proprio la fine della vita.
Una raccolta di riflessioni in salsa dialogica, quella ciceroniana, su di un’esistenza meritevole d’esser vissuta, tra diegesi agiografiche di personalità del passato e vademecum per giungere alla vecchiaia nel migliore dei modi possibili, giacché prima di tutto occorre prender contezza che quanto ha principio giunge sempre ad un termine.
“[…] La vecchiaia, la quale tutti desiderano raggiungere, e quando l’hanno raggiunta, l'accusano: tanta è l’importanza e la ingratitudine della stoltezza umana! Dicono che lei li ha sorpresi più presto di quanto avessero creduto!”
Pag. 43, II. 4. Scipione

L’opera venne redatta da un Cicerone sessantaduenne con una lunga esperienza letteraria, politica e militare alle spalle, dopo aver retto molteplici incarichi pubblici e intrapreso svariati viaggi quale vicario della repubblica romana.
Dedicata al caro amico Tito Pomponio Attico, il De Senectute (o “L’arte di saper invecchiare”) narra con la voce di Marco Porcio Catone un panegirico dei più influenti personaggi senili della storia letteraria e civile di Roma, quali esempi di rettitudine morale e saggezza: da Publio Cornelio Scipione l’Africano a Caio Leio (già interlocutori di Catone nel trattato stesso), da Caio Livio Salinatore a Temistocle, da Socrate a Platone, dal temporeggiatore Quinto Fabio Massimo al sofista Gorgia di Lentini.
Non solo: il dialogo/soliloquio di Catone con cui Cicerone discetta della vecchiaia è naturaliter una preziosa testimonianza storica e biografica dacché rassegna di illustri personaggi dell’historia romanae, ma altresì un trattato filosofico dovizioso di riflessioni riportate con la raffinata eleganza oratoria e il ricercato linguaggio che diverranno tratto distintivo della prosa ciceroniana.
L’autore antico spaziò le sue meditazioni sull’ordine del creato, sul problema di Dio, sull’immortalità dell’anima pur senza perdere di vista l’orizzonte tematico. Secondo Cicerone vi sono “quattro cause per cui la vecchiaia appare infelice: la prima è che distoglie dalla vita attiva, la seconda è che rende il corpo sempre più debole, la terza è che priva il vecchio di quasi tutti i piaceri, la quarta è che non è molto lontana dalla morte.” Ad onta di ciò, l’arpinate confuta la negatività con la quale la vecchiaia parteciperebbe a queste situazioni e, di più, constata che le più efficaci armi di difesa contro la vecchiaia sono l’esercizio delle virtù e delle arti le quali “coltivate in ogni età, quando si è vissuto a lungo e intensamente, danno frutti meravigliosi, non solo perché non ci abbandonano mai, nemmeno nel tempo estremo dell’esistenza, sebbene questa per vero sia la cosa più importante, ma anche perché la coscienza di una vita bene trascorsa e il ricordo di molte buone azioni danno grande felicità.”
Dunque il segreto dell’arte di invecchiare risiede nella vitalità dell'animo: dedicarsi ai propri interessi (nello studio delle discipline così come nelle attività pratiche e, possibilmente, a contatto con la natura) e condurre uno stile di vita morigerata, lontano da baccanali e da pleonastici eccessi. Ecco che l’avveduto diviene colui il quale accetta la vecchiaia e la morte, adeguandosi alla natura e rispettando le sue leggi: soltanto così sarà possibile concludere il nostro percorso di vita in salute, con soddisfazione e serenità.
“Ma il miglior modo di finire la vita è quando, restando la mente sana e i sensi svegli, è la stessa natura che l’ha messa insieme a dissolvere la sua opera.”
Pag. 97, XX. 72

Ancora una volta le parole degli antichi riecheggiano come un drammatico caveat, giungendo sino a noi nella loro immancabile e profonda saggezza.
“Non mi piace in realtà rimpiangere la vita, come fecero molti, e fra questi anche alcuni saggi, e non mi pento di aver vissuto, perché vissuto in modo tale da stimare di non essere nato inutilmente. E dalla vita me ne vado come da un albergo, non come da una casa; perché la natura ci ha dato un alloggio per trattenerci, non per abitarci. “
Pag. 107, 84
Immagini
In copertina: The Voyage of Life: Old Age di Thomas Cole, olio su tela (1842), National Gallery of Art (Washington)
Ritratto di Marco Tullio Cicerone, marmo (metà I secolo a. C.), Sala dei Filosofi presso Musei Capitolini
Ritratto di un vecchio in abito rosso (“Alter Mann im Lehnstuhl”) di Rembrandt van Rijn, olio su tela (1654), Hermitage di San Pietroburgo
Consultazioni
L’arte di saper invecchiare (“De senectute”) di Marco Tullio Cicerone, Grandi Tascabili Economici, Newton Compton, 2012