top of page

La raffinatezza del loisir

Insoddisfazione, irrequietezza, inappartenenza – ma anche invidia, noia, perpetua inadeguatezza che polverizzano le speranze e le illusioni faticosamente edificate nel tempo: sono questi i vizi che offuscano le contemporanee anime, alla cui base vi è una ricerca di assoluto destinata a rimanere inappagata, giacché l’uomo è incapace di accettare i propri limiti e la propria fragilità naturaliter. La ricerca tormentata di un'irraggiungibile felicità travolge l'animo in un circolo vizioso, la cui via d'uscita appare introvabile.

Eppure non si tratta certo di un novum malum: ne parlò Chateaubriand nel suo René, ottocentesca opera letteraria intrisa di Romanticismo che illustra la storia di un uomo la cui sofferenza (che fa la sua comparsa nei momenti meno opportuni, e di difficile delineazione) assume il profilo delle tipiche contraddizioni umane, svilendo perciò lo stesso malheur.

Andando a ritroso nel tempo si giunge al 62 d. C., quando uno sconsolato Lucio Anneo Seneca decise di congedarsi dalla vita politica e di ritirarsi in un esilio forzato, per poter continuare a percorrere i passi verso una vita stimata come buona, lungi dalla perdizione e dalle distrazioni: saranno i suoi dodici Dialoghi ad offrire al pubblico un faux-fuyant per i mali del vivere quotidiano.

 


Busto di Seneca in marmo carrarese

I dodici scritti di Seneca la cui effettiva forma dialogica può essere attribuibile a solo uno di essi, il De tranquillitate animi (nelle altre monografie infatti a disquisire è unicamente la figura dello stesso autore che si rivolge però, come riporta a anche Mario Scaffidi Abate nella sua introduzione al De otio per Newton Compton, “a un dedicatario dal quale spesso fa porre alcune domande e obiezioni”), sono libri in cui l'andaluso autore discetta dei valori permeanti l’esistenza e dunque in un certo qual modo condivisibili, o quantomeno comprensibili, da ogni uomo: serenità, felicità, contemplazione sono solo alcune delle virtù trattate (parallelamente ad un elogio all’imperatore Claudio e ad alcune riflessioni sull’esilio che lo videro coinvolto), presenti in tutte le opere di Seneca e volte ad un intento di tipo morale – con reminescenze dai sapori stoici, epicurei, pitagorici e cinici, nonché delle evidenti influenze aristoteliche e ciceroniane.

Sull’arte dell’ozio unisce due trattati dei Dialoghi – il De otio e il De tranquillitate animi, ambedue dedicati all’amico Sereno: il primo, mutilo di inizio e di fine, è una brevissima agiografia di quella vita contemplativa che permette al saggio di agire secondo natura, in coerenza con i propri princìpi e in comunione con il divino rifuggendo da ciò che è perituro; il secondo, di cui ci sono giunti i 17 capitoli, si pone di indagare i rimedi ai vizi che annidano lo spirito del singolo. Quella proposta dall’iberico pensatore è dunque una filosofia pratica,  volta ad aiutare l’uomo – nei suoi limiti – al raggiungimento della liberazione dalle passioni e dai timori.

Due trattati dove l’ozio si rispecchia non nella pigrizia del flâneur bensì nell’otium latino, che abbracciava un variopinto insieme di significati: dal semplice dolce far niente allo stato di quiete, dal tempo libero alla tranquillità d’animo fino alla riflessione.

Lungi dall’esser il padre dei vizi, l’ozio, rappresenta il meglio del tempo che si possiede, e per tale motivo diviene la ricchezza più preziosa.

 


Rêverie

De otio (“L’ozio” o “Della contemplazione”)

Privo di una concreta inclinazione speculativa, il dialogo – come accennato in precedenza – ci giunge viziato sin dal cominciamento, con tesi e argomentazioni che gli studiosi hanno nel tempo considerato bizantine, a tratti giustificatorie, talvolta forzate e contraddittorie, forse a cagione del tentativo riconciliatorio dell’antico autore di adattare la filosofia alla sua situazione personale.

Già dalle prime tracce dell’opera Seneca addita, quale nocumento della nostra felicità, quella condizione di instabile insoddisfazione (poi sviluppata nel De tranquillitate animi) che apre ad una contemplazione – per quanto esistenziale – che lascia intravedere in filigrana una certa ambascia nell’euristica: la ponderazione del saggio è  dunque quella di una vita che si affranca dalla sfera politica, imperocché scientemente consapevole dell’armonia di ciò che lo circonda.

“Siamo sballottati di qua e di là come dai flutti o dal vento, e ora ci attacchiamo a una cosa, ora a un’altra, lasciamo ciò che avevamo cercato e ricerchiamo ciò che avevamo lasciato, in un altalenante avvicendarsi di desideri e pentimenti. Questo perché dipendiamo sempre dalle opinioni degli altri, ci sembra migliore ciò che ha un gran numero di aspiranti e di elogiatori, e non ciò che va elogiato e ricercato per il suo intrinseco valore.”


Méditation

De tranquillitate animi (“La serenità”)

Una cattiva amministrazione del proprio tempo.

Ecco dunque che in seno al De tranquillitate animi, il cordovano pensatore discetta il tedium vitae, quel vuoto interiore tanto caro alla corrente platonico-stoica: medicina a contrasto di questo male viene proposta l’atarassia, quale mancanza di turbamento di spirito in una declinazione di equilibrio delle passioni, carpibile unicamente attraverso la conoscenza intesa come piena consapevolezza di sé.

In questo secondo dialogo, Seneca esplora le varie passioni non prima di aver esemplificato l’ondivago stato di irrequietezza d’animo che caratterizza la sensazione di camminare sul ciglio di un dirupo con l’angosciosa sicurezza di non cadere. Una condizione di scontentezza e di noia, che portano a fuggire non i luoghi bensì l’uomo stesso, portandosi appresso in ogni dove l’inseparabile malcontento.

“Esplorando, o Seneca, l’animo mio, vi ho trovato molti difetti, alcuni talmente evidenti da potersi, per così dire, toccare con mano, altri invece rintanati come in un nascondiglio, altri ancora saltuari, riemergenti a tratti, a intervalli, e che sono forse i più molesti di tutti […] per cui tu vivi sempre in uno stato ambiguo, che non è né di guerra ma nemmeno di pace e io mi sono scoperto appunto in un’analoga condizione, quella di non essere né completamente libero dai miei rancori e dalle mie paure, né di trovarmi loro balía, sicché pur riconoscendo che la mia situazione non è delle peggiori, avverto un senso di malessere quanto mai sgradevole, che mi rende lunatico e legnoso.”

E ancora: “[…] in tutte le cose mi accompagna questa debolezza di buoni propositi, sì che temo di allontanarmene sempre di più o, peggio ancora, ho il terrore di non riuscire a decidermi né per un verso né per l’altro, ma di restarmene in bilico, come uno che sia sempre lì lì per cadere e tuttavia non cade. […]”.

 

Tale scontentezza è apparentemente superata con la consapevolezza delle piccole fortune già in possesso, e che costellano la vita con la loro semplicità e modestia. Ad onta di ciò, l’occhio cede alla tentazione travolgendo l'uomo, suo malgrado, verso un lusso che – con le grammatiche di Seneca – avvolge fino a stordire e offusca le menti dinanzi ad uno spettacolo che più che guardarlo si finisce con il rifletterlo, lasciando la bocca amara e il cuore stretto in un tormento che “insinua il dubbio se non sia meglio vivere nel lusso che nella sobrietà”.

Come i marinai d’una nave che tentano di mantenere il veliero in equilibrio durante la burrasca, così l'uomo affranto cerca di riportare nel cuore un po’ di serenità e di sobrietà attraverso attività notoriamente genuine nella loro umiltà: “E nuovamente mi compiaccio, come di cosa migliore, di consumare la vita fra le pareti domestiche, sì che nessuno mi rubi anche una sola giornata”. Ciononostante, la calma riconquistata si rivela in tutta la sua effimerità, dolorosamente transeunte allorché un nuovo input esterno colpisce l’attenzione restaurando quello stato di insoddisfazione che attanagliava in precedenza, in una sorta di vague des passions ante litteram, ripresa in seguito anche nel panorama musicale dal francese Berlioz nella sua Symphonie fantastique (nel primo movimento Rue, passions prende forma un'onirica malinconia, interrotta da un accesso di gioia e passione delirante, quindi il ritorno alla tenerezza e infine le lacrime, che conducono l’ascoltatore alla consolazione).

 

“So bene che questo malessere non è pericoloso e che non può portarmi alcun disastro reale, e affinché tu possa fartene un’idea chiara, con un paragone appropriato ti dirò che non è la tempesta che mi disturba, è il mal di mare”.

The wrath of the seas

Orbene, a quali rimedi ci si può appellare secondo lo stoico iberico?

Innanzitutto ritrovare fiducia in se stessi, per un’esistenza lieta senza quelle distrazioni che portano a seguire “orme ingannevoli, che vanno di qua e di là disordinatamente”, rimanendo per converso focalizzati al conseguimento dell’euthymìa greca.

Per Seneca, l’insoddisfazione scaturisce “dall’incostanza o l’instabilità dell’animo, da desideri imprecisi o che hanno scarsa fortuna” o che frenano il coraggio di osare un miglioramento. Le conseguenti geremiadi sono cagionate da una passività che alimenta il livore di coloro i quali non sono riusciti a farsi strada e pertanto desiderano l’insuccesso altrui. Come esplica l’autore latino, “Questo perché l’animo umano è portato per natura all’azione, al movimento, e mal sopporta l’inattività, va in cerca di stimoli, di distrazioni che possano gratificarlo, tanto più quando è incline a una vita convulsa e si compiace di logorarsi nel lavoro”.

Ciò non significa condurre un’esistenza eremitica, giacché gli animi nobili sono in grado di realizzarsi anche nella vita privata, come testimoniano le imprese che si compiono nell’intimità delle pareti domestiche. Un ritiro, quello proposto da Seneca, bilanciato e che consenta di giovare comunque al prossimo attraverso l’esercizio del pensiero – dedicando tempo alla riflessione e alla conoscenza, rendendo eruditi non solo sulla carta ma anche umanamente tanto da poter divenire, per gli altri, un modello da seguire.

“[…] se tu ti dedicherai agli studi eviterai le noie del vivere quotidiano, non attenderesti che venga la notte perché il giorno t’infastidisce, non sarai più di peso a te stesso e inutile agli altri, ti farai molti amici e la tua casa diverrà meta delle più degne persone perché la virtù, anche se appartata, non resta mai così nascosta e chi ne sarà degno potrà seguirne le tracce”.

Accanto alla fiducia in sé e allo studio, si pongono la presenza di legami veri, di amicizie fidate che sappiano dare conforto ai cuori irrequieti, e la presa di distanza dalle ricchezze materiali che altro non sono se non “la principale fonte delle tribolazioni umane”, che tanto dolore e invidie procurano.

L’animo però abbisogna non solo di azione, ma anche di adeguato riposo. Come riporta lo stesso Seneca: “Non bisogna poi tenere la mente impegnata troppo a lungo e in uno stesso pensiero, occorre distrarsi con svaghi e divertimenti […]. Bisogna dare all’animo un po’ di tregua: dal riposo riemergerà migliorato e più forte”.


Un filosofo

Dai due dialoghi senechiani è possibile distillare alcune preziose considerazioni che – come sovente accade quando si consultano fonti antiche – sono perfettamente adattabili ai temi più moderni. L’ozio latino quale spazio di contemplazione è il precipuo medicamento al male di vivere: una passività genuina, che nobilita l'umano spirito operando il bene attraverso l’esercizio delle virtù, che riceve e riflette in seguito al ritrovamento di uno spazio personale. Un ozio creativo, tinto di svago e  spensieratezza, ma anche una speculazione libera e disinteressata sulla realtà che circonda.

Un protrettico a ritrovare sé stessi.

 

 


 


Immagini

In copertina: Ruhendes Mädchen di Bernhard Zickendraht, olio su tela (1915): web

Busto di Seneca, scultura in marmo carrarese (XIX secolo): HVMC Casa d’Aste Monte-Carlo

Rêverie di Daniel Ridgway Knight, olio su tela: Bridgeman Images

Méditation di Charles Joseph Frédéric Soulacroix, olio su tela: Bonhams

The Wrath Of The Seas di Ivan Aivazovsky, olio su tela (1886), collezione privata: web

Un filosofo (“A Philosopher”) di Salomon Koninck, olio su tela: web


Consultazioni

L’arte di oziare (“De otio” e “De tranquillitate animi”) di Lucio Anneo Seneca, Newton Compton, 2021


 


bottom of page