Sulla gelosia. L'ineluttabile tormento di un amore
- Redazione
- 16 ago 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 23 nov 2024
“Nella gelosia c’è più amor proprio che amore”
Tratto da Réflexions ou sentences et maximes morales di François de La Rochefoucauld (1665)
Sulla gelosia si è da sempre scritto, ma poche testimonianze nella storia della letteratura ne hanno saputo cogliere le caleidoscopiche sfumature quanto la Medea di Euripide: un personaggio difficile, quello del drammaturgo greco, in cui la passione per l'altro sfocia in una lucida pazzia che sembra quasi sussurrare all'orecchio parole terribili che innescano la miccia di un’ossessione tale da condurre ad azioni estreme, irreversibili, imperdonabili.
I conflitti interiori di questa Medea (la figura mitica è stata narrata a più riprese da svariati autori nel corso del tempo) non si limitano alla mancanza di una patria, privazione peraltro autoinflitta, o all’emarginazione in quanto maga e straniera, ma si intrecciano come tanti fili in un tappeto intessuto di puro sconforto, la cui disperazione scorre dal cuore alle mani in gesti che saranno fatali.
Un contrasto dal principio di princìpi, nell’apolide Medea convivono varie identità – figlia, sorella, amica, compagna, madre – la cui comune orfanezza dà vita ad una nuova e terrificante creatura: una donna pazza d’amore per il quale è disposta a tutto, compreso l’omicidio dei cari e della sua stessa progenie, alimentando quel circolo vizioso di solitudine già cominciato in precedenza e raccontato nelle Argonautiche.
Mai la gelosia appare in forma più vera come nella tragedia euripidea, un sentimento crudo e scevro di veli a giustificarne l’insania, e la cui atroce attualità lascia l’amaro in bocca.

Inscenata per la prima volta nell’anno 431 a. C. in occasione delle Grandi Dionisie ateniesi, la Medea di Euripide faceva parte di una tetralogia insieme alle altre due tragedie – Filottete e Ditti – e al dramma satirico I mietitori. Formata da un prologo e da cinque atti intermezzati dai commenti (gli “stasimi”) del coro, è tutt’oggi considerata una delle più significative opere di epoca classica.
Principessa della Colchide, la protagonista è la figlia della ninfa oceanina Idia e di Eeta, re della Colchide, nonché nipote tanto del dio del sole Elio quanto della maga Circe. Sacerdotessa oriunda d'una terra esotica e lontana dalla Grecia (dunque considerata barbara), sarà la sua magia a consentire a Giasone – già a capo della spedizione degli Argonauti – di conquistare il rinomato vello d’oro. Proprio di lui Medea cadrà vittima del dardo d’amore e la passione per l’eroe greco la travolgerà in un autentico flusso di dissennatezza, tale da tradire la sua patria e uccidere il fratello. Non trascorrerà molto tempo prima che Medea si accorga della meschina bassezza di Giasone, che la ripudia per unirsi con la figlia del re Creonte, in un matrimonio prezioso dacché garanzia del diritto di successione al trono corinzio.

“State attento, mio signore, della gelosia: essa è un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre.”
Tratto da Otello di William Shakespeare
Atto terzo, scena terza
Umiliata e ferita, l'esodiana “donna dagli occhi sfavillanti” mostra al contempo fragilità e forza in un ventaglio di antinomie che la portano ad orchestrare una vendetta infausta subito sospettata da Creonte, che le ordina perciò di lasciare la città. Ella, con agghiacciante abilità calcolatoria, fingerà docilmente di acconsentire all’esilio impostole, non prima però di aver inviato alla novella sposa Glauce un dono nefasto: una corona e un peplo avvelenato il quale, una volta indossato, avvolgerà la giovane in un fuoco mortale le cui fiamme non risparmieranno nemmeno Creonte nell’incauto tentativo di salvare la figlia.
Ad onta di ciò, la fiera Medea non appare ancora appagata. Questo la porterà ad ordire il piano finale che le macchierà per l’ennesima volta le mani di sangue. A completare la vendetta sul compagno infedele, Medea concerta una pena risolutiva, uccidendo i figli avuti con Giasone in guisa da distruggere i di lui sogni riposti nella discendenza. Nel celebre e dibattuto monologo di Medea si rispecchia un cristallino squilibrio interiore cagionato dal contrasto tra passione e “ragione”, sebbene in luogo di quest’ultima sarebbe forse più appropriato parlare di egoistica sete di giustizia – ben diverso, dunque, dall’amore materno che la protagonista è convinta di provare – come eccellentemente descritto dal francesce Alphonse Karr nella sua Clothilde del 1839: “La gelosia è un misto d’amore, d’odio, d’avarizia e d’orgoglio” (La jalousie est un mélange de l’amour, de la haine, de l’avarice et de l’orgueil.).

"Ucciderò i miei figli. Nessuno me li porterà via. Devasterò tutta la casa di Giasone e me ne andrò via da questa terra, per fuggire al massacro di chi amo di più al mondo, i miei figli, dopo avere affrontato il delitto più empio. […] E mi accorgo del male che sto per compiere, ma più potente dei miei piani è la furia del cuore.”
Nella tragedia euripidea, il libero arbitrio sembra mescersi in un autosabotaggio esistenziale: in tutta la sua ingiustificata violenza, Medea pondera con accurata consapevolezza le sue azioni scellerate alla ricerca del riscatto per una vita le cui scelte l’hanno resa sempre più sola: “Tu [Giasone, n.d.r.] hai la tua città, che è questa, e la casa paterna, e una vita agiata e puoi frequentare i tuoi amici. Io invece, sola, senza una patria, subisco l’oltraggio di un maschio, che mi ha razziato da una terra barbara. E non ho una madre, non un fratello, non un consanguineo presso il quale trovare approdo da questo mare di sventura.” (Medea a Giasone).
Non ci si può or dunque sottrarre al dubbio che l’amore di Medea sia davvero tale, giacché causa prima di annichilimento della sua stessa persona attraverso atti sconsiderati. Un harakiri identitario frutto dell’ineludibile furia dettata dall’implacabile gelosia.
Immagini
In copertina: Mademoiselle Clairon en Médée di Charles André van Loo (1759), Neues Palais (Potsdam): web
Disillusioned Medea di Paulus Bor, olio su tela (1640): Metropolitan Museum of Art (New York)
Medea di Corrado Giaquinto, olio su tela (1750-52), collezione National Trust for Places of Historic Interest or Natural Beauty, Artworks in museum Hinton Ampner (United Kingdom): Artnet
Medea uccide i suoi figli (“Medée furieuse”) di Eugène Delacroix, olio su tela (1838): Palais des Beaux-Arts, Lille MET
Consultazioni
Medea di Euripide, introduzione e traduzione di M.G. Ciani, commento di D. Susanetti, a cura di Angelo Tonelli, Grandi Classici Tascabili Marsilio, 2014
Medea: strega, “barbara” e donna di Storica per National Geographic, articolo del 4 maggio 2021