Le parole talvolta non sono sufficienti ad esprimere a pieno ciò che si prova. Si volge lo sguardo altrove, verso differenti codici comunicativi che permettano di trasmettere sentimenti e opinioni – nuovi strumenti utili a dare concretezza a quelle forme astratte che chiedono di essere espresse.
Ecco allora che la pennellata di un quadro o il motivetto di una canzone ci vengono in aiuto e, finalmente, il messaggio giunge a destinazione. Altre volte per converso è sufficiente un gesto come uno sguardo complice, una carezza sul viso, una porta tenuta aperta, per dar voce a ciò che è in noi.
Da tempo immemorabile, però, ci si affida ad una forma di simbolismo speciale, quasi magico, la cui ritualità ha finito financo per scandire alcune date del calendario: il linguaggio dei fiori. Nel corso della storia, l’uomo si è avvalso di questi preziosi tesori della natura per creare un nuovo sistema tramite cui vivificare le strutture interiori relegate nella mente, dando piena dimostrazione della fecondità di un dialogo che non necessita del ricorso all’oralità e, tantomeno, allo scritto. Ad ogni fiore, dunque, un significato: dalla calendula al garofano, dall’agrifoglio alla peonia, dal ranuncolo alla lavanda, dal rododendro alla camelia, trovano finalmente espressione quelle parole non dette ma intensamente sentite.
Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso un emerito compositore fece ricorso alla florigrafia per battezzare una delle sue rare pagine per quartetti d’archi, un’elegia composta di getto che nel tardo gennaio del 1890 ricevette al Conservatorio di Milano una straordinaria accoglienza – tanto generosa da persuadere il musicista a integrarne i temi nell’ultimo atto di una delle sue opere più riuscite, Manon Lescaut.

Nato nella Lucca dicembrina del 1858, Puccini fu il maggiore di nove fratelli. Il ramo maschile della famiglia si passava il testimone di organista e maestro di coro alla cattedrale della città toscana, incarico inizialmente ricoperto dal padre del compositore che morì quando il piccolo Giacomo aveva solo cinque anni.
Dopo aver assistito ad un’opera dello stimatissimo maestro Verdi, il giovane Puccini – di indole focosa e a tratti indisciplinata – s’innamorò perdutamente di tale genere e nel 1880, col pieno sostegno della famiglia, si trasferì a Milano per cominciare gli studi al Conservatorio: fu proprio in quegli anni che l’attenzione dell’élite musicale meneghina fu attirata dal portentoso talento di Puccini, un dono che negli anni a venire gli consentirono di collezionare successi e trionfi, nonché riconoscimenti da tutto il panorama artistico mondiale.

Tra le rare opere per ensemble da camera, Giacomo Puccini scrisse I Crisantemi in seguito alla morte improvvisa di Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta e suo amico, la cui prematura dipartita all’età di 44 anni toccò Puccini nel profondo.
Il titolo del brano omaggia il fiore quale rappresentazione di eroismo e lealtà, ma anche lutto. Scritta in una sola notte, secondo quanto riportato dallo stesso Puccini in una lettera al fratello, I Crisantemi si compone di un unico movimento pregno di dolore dal quale si articolano due temi principali ove il primo, caratterizzato da un cromatismo lento e intenso, costruisce potenza dall’interno e si muove in moto contrario.
La mesta sezione centrale aumenta di intensità sul melodico lamento del violino e della viola; la sonorità ricca del violoncello funge da base solida su cui poggia la melodia, che si apre in una serie di climax la cui potenza dirompente arriva dritta al cuore ormai commosso dell’ascoltatore.
Che fanno là, presso la muta altana, i crisantemi, i nostri fior, che fanno? Oh! stanno là, con la beltà lor vana, a capo chino, lagrimando, stanno. Pensano che quest’anno sei lontana, lagrimano che non ci sei quest’anno. Non torna più! mormora la campana…
Tratto da Canti di Castelvecchio – diario autunnale di G. Pascoli (1907)
Per l'ascolto si consiglia: Chamber Music Society of Lincoln Center
Immagini
In copertina: Graves Still Life of Chrysanthemums di Abbott Fuller, olio su tela (1859): web
Giacomo Puccini (1907), foto di Studio Bertieri: Pro Ópera
Chrysanthemums, olio su tela (1900), Mathias J. Alten per GVSU Art Gallery – Grand Valley State University
Consultazioni
Compositori – La vita e le opere (“Composers”), Gribaudo, DK Limited, 2021
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